“Luce dei miei occhi” è un estratto dell’esperienza che ho voluto fare, fisicamente, nella creazione e nella manipolazione di bioimmagini, a seguito del dialogo avviato con i professionisti dell’Istituto di Tecnologie Biomediche. Attraverso una o più forme di energia, le bioimmagini, vengono prodotte e analizzate per rivelarci come si guarda dentro il corpo umano.
Dalla fine del XIX secolo fino alle sofisticate tecniche contemporanee, sono fondamentali nello studio approfondito dell’anatomia o dei suoi processi biologici, come pure della diagnosi e della cura di numerose patologie.
La ricerca scientifica si impiega con crescente precisione e competenza nel rendere visibile ciò che non lo è, sia quando l’oggetto dell’indagine è molto piccolo sia quando è un processo che ancora non è stato svelato: una domanda crescente nella mente dei ricercatori, che genera una nuova comprensione del mondo.
Allo stesso modo, del mondo, la ricerca artistica anticipa una nuova percezione.
Se si generano bioimmagini sottraendo l’urgenza che il laboratorio ha di risolvere un problema, ciò che rimane è un esplorazione poetica alla quale, egoisticamente, ho partecipato in prima persona per “raccontarmi l’invisibile”.
Come spesso è successo nella mia ricerca sono stato attratto dai metalinguaggi e mi sono interessato, prevedibilmente, agli occhi.
Ciò che vediamo, o non vediamo, passa attraverso una soggettiva impronta digitale interna agli occhi, che nessuno di noi è in grado di spiegare all’altro. Certamente abbiamo dei metodi comparativi, unità di misura, campionari di colori, strumenti di misurazione.
Ma solo noi stessi guardiamo attraverso i nostri occhi e attraverso l’interpretazione che il cervello fa di ciò che vediamo.
Ciò che per me è rosso, blu, grande, piccolo, luminoso o buio, risulta sconosciuto agli altri con i quali si trova però un accordo su cosa è definibile “rosso”.
Usando la fluorangiografia, un esame diagnostico oculistico, ho rivelato a me stesso la mappa dei miei occhi.
Il fondo dell’occhio viene illuminato con luce blu di lunghezza d’onda 490 nanometrie attraverso una “fundus camera” si fotografa la fluorescenza del mezzo di contrasto in circolo nei vasi sanguigni.
“Ho riversato i file digitali ottenuti in clinica direttamente su pellicola diapositiva in bianco e nero.
Il processo ridona una sua biologia all’immagine che, imprigionata in questa scultura a metà tra un tabernacolo magico e un obsoleto strumento medico, ci fa dubitare della sua esistenza.”
Matteo Girola >
Luce dei miei occhi, 2019
Installazione. Serie di due visori per diapositiva e due still image su computer